Mattoni Gialli

Gli incubi di Settembre

Gli incubi di Settembre

E rieccoci di nuovo, dopo un breve stop, alle prese con gli abitanti del Condominio Buonanno. Facciamo quindi un passo indietro nel tempo e torniamo a Settembre, tuffandoci nel mondo in rosso di Rubina, arrembante sommelier, alle prese con castelli e chimere. Pronti a scoprire gli intriganti misteri del vino più raro del mondo?

L’avventura del mese:
Rubina Settembre.

Sommelier.

Gli incubi di Settembre

La nebbia era fitta, tanto che a stento si vedevano le sommità dei filari di viti che stava attraversando a passo deciso ma attento. L’aria guardinga di chi non voleva avere brutte sorprese, anche se non poteva fermarsi.

Era a un passo, vicinissima.

La prima e unica bottiglia di Shatush Briand esistente al mondo, detto anche la ‘chimera dei vini’, con la sua colorazione che degradava dal dorato al bordeaux. Una cosa che non si era mai vista né sentita.

Rubina Settembre la cercava da tempo e ora che l’aveva trovata, non se la sarebbe fatta scappare per tutte le bottiglie di Amaro Motefrego del mondo.

Sulle colline fumose ricche di vigneti messi in fila come un esercito, camminava a testa bassa e piglio da battaglia, accompagnata dal fido Morello, il barbone nero che le trotterellava accanto.

«Ci siamo, piccolo. Io e te riscriveremo la storia dell’enologia!»

Il castello alla fine del viale comparve a poco a poco come un palcoscenico quando veniva aperto il sipario. La nebbia si fece da parte con eleganza, seguito da una scia di aspettative che pizzicavano già sulla punta della lingua e sotto al palato, con gusto corposo e lieve aroma fruttato.

Nella sua vita da sommelier, Rubina non aveva mai osato sperare in un onore del genere, ma la soddisfazione le tagliava le labbra in un sorriso di sfida.

Spalancò il portone. Il legno tonfò con il rimbombo d’una botte vuota e i tacchi degli stivali battevano al ritmo dei suoi passi marziali, come quelli dei soldati.

La nebbia le sfilò tra le caviglie, simile a uno scialletto di polvere.

Nessuno a destra né a sinistra. Nessuna accoglienza.

«Il servizio di questa tenuta è da due», borbottò in direzione del cane, mentre agitava un indice e le ragnatele fiorivano agli angoli come centrini di bava d’argento. «Ma facciamo pure uno. Il Conte Dalv dovrebbe affidare meglio i propri poderi, soprattutto quando nascondono simili tesori.»

La porta che conduceva alla cantina le era davanti, sormontata dalla grande scalinata che portava ai piani superiori. Un quadro a grandezza ‘megalomane integrale’ stava piazzato al centro, tra le ali della scala che andavano a destra e a sinistra. Il Conte spiccava, avvolto dal mantello scuro, fazzoletto bianco con un grosso rubino alla gola, gilet.

«Demodé», bollò Rubina i cui occhi furono catturati solo dalla bottiglia che era stata raffigurata tra le sue mani.

Gli incubi di Settembre

Eccola! Eccola!

La bottiglia di Shatush Briand!

Le colorazioni che sfumavano in un’armonia inimitabile che neppure la maestria del pittore era riuscita a rendere.

La salivazione aumentò di colpo, la sua brama pure.

Rubina aprì la porta dello scantinato e scese per il cubicolo che girava in tondo alla colonna portante con una scala a chiocciola scolpita nella pietra. Tele di ragni, squittii di sorci, zampettare di scarafaggi.

«Ellapeppa, però! Ma chiamare un’impresa di pulizie ogni tanto? Una rinfrescatina?»

L’ingresso delle cantine alla fine della scala era grande, di legno massiccio con fregi in ferro ormai arrugginiti dal tempo e dall’umidità esterna. La testa di un pipistrello dalle fauci aperte era giusto a metà dei due battenti che lei aprì con la stessa autorità con cui aveva spalancato quelle d’ingresso al maniero. All’interno nemmeno un filo di polvere, la temperatura era perfetta, le botti conservate a meraviglia, le bottiglie impilate in ordine millimetrico e le luci, che soffondevano singoli angoli dell’ambiente e poi sfumavano nel buio, ricreavano quella che ai suoi occhi si presentò come la cantina perfetta.

Morello uggiolò sbatacchiando la coda; era eccitato quanto lei che guardava con occhi brillanti il Paradiso di ogni sommelier. E poi lì, nel centro, tra le volte e gli archi, chiusa in una teca di vetro, la bottiglia che stava cercando.

L’unica, la sola, l’incredibile, l’elegante Shatush Briand.

Rubina le si approcciò con le gambe che tremavano per l’emozione, il cuore che pompava come un dannato e il timore di non essere degna di un simile onore e privilegio. Lei, Rubina Settembre e lo Shatush Briand, faccia a faccia – o, meglio: faccia e vetro! Il colore limpido che dal collo della bottiglia era così chiaro da sembrare acqua, poi si scuriva fino a diventare tanto corposo da non essere più trasparente e divenire scuro come il sangue.

No, non era banale posa né un imbroglio della bottiglia colorata di proposito.

Quello era tutto vero, tutto naturale.

Senza indugiare oltre sollevò la teca, ma non scattò alcun allarme. Prese la bottiglia, una mano lungo il collo e l’altra sotto al fondo, per girarla e rigirarla con la cura richiesta a una nutrice verso un bebè. La sollevò al cielo, la guardò contro la luce fioca delle lampade ed era perfetta.

Rubina si umettò le labbra. Nella teca c’erano anche un calice che non aveva mai visto prima e che doveva essere stato creato ad arte da chissà quale mastro vetraio per esaltare tutte le caratteristiche dello Shatush, un cavatappi in argento e un fazzoletto in stoffa ricamata per raccogliere anche l’ultimissima goccia dal collo della bottiglia. Era tutto pronto, aspettava solo che lei lo aprisse e, in barba a qualsiasi timore di sciupare una tale perfezione, il desiderio di gustarlo fu più forte.

Rubina stappò. Il sughero emise un leggero ‘pop’ che per lei suonò come musica. Fece sfilare il fondo del tappo sotto al naso e s’inebriò di quelle note muschiate di sottobosco e funghi, poi ecco persistere la fragranza di un bouquet fruttato, arancia, pompelmo e poi mughetto e sì, anche una punta di pino silvestre. Che audacia!

Il liquido, che piovve nel bicchiere come una leggera cascatella di montagna, aveva un unico colore che una volta fermato nel calice, assumeva la suddivisione chimerica dei colori. Una magia, la più incredibile, ed ecco le trasparenze dei bianchi salire su, le corposità dei rossi scendere giù, la frivolezza dei rosé restare nel mezzo come una burla.

Magia.

Gli incubi di Settembre

Rubina lo fece dondolare nelle pareti di vetro e le gocce non vi si aggrapparono nemmeno per un attimo. Lo annusò ancora ed ecco salire anche una nota strisciante di Giglio luppolato della Danimarca.

La sua bocca era in adorazione, aspettava quel vino come gli Apostoli dell’Ultima Cena.

E così, indisturbata, la chimera dell’enologia le scivolò tra le labbra con un sorso lungo e lento per poter sentire ogni variazione di sapore, sezionarne il segreto, rubarlo e provare a riprodurlo, rivenderlo e farci una vagonata di soldi.

Rubina lo trattenne nella bocca, occhi chiusi. Se ne sciacquò il palato, lo rotolò sulla lingua, coccolò nella guancia. Le sopracciglia si alzavano in alternanza, si crucciavano, arcuavano, stringevano.

«E allora… cosa si dice in queste occasioni?» Una voce profonda e sconosciuta le sospirò all’orecchio, lei non se ne fece distratte.

Buttò giù il sorso di vino, tirò indietro il mento e aprì gli occhi stringendo le labbra a culo di gallina. Allontanò il bicchiere con tutta la sua magia e disse: «Ma questo… è SanCristino

«Eccerto! Cosa ti aspettavi che fosse?!»

Rubina guardò il conte Dalv comparso dal nulla a braccia conserte e l’aria seccata.

«Ma… e la chimera?! E lo Shatush?! E il pino silvestre, l’arancia… il muschio!»

«Seeeh, e la rava e la fava. Ci volevi dentro pure il sangue vero? Mia cara, quante scuse inventerai ancora nei tuoi sogni pur di non ammettere che i vini perfetti sono quelli da tavola? Vieni, che ti offro un bicchierino di Stapperello! Li vuoi pure due tarallini ‘nzognae pepe? Sono la morte sua!»

L’urlo belluino esplose nella gola di Rubina che si svegliò di soprassalto, scalciando coperte e cane con cui si era addormentata sul divano, davanti alla tv. Il dvd di ‘Dracula il vampiro’ era abbandonato aperto sopra il tavolino, assieme a un bicchiere sporco di vino e a una bottiglia vuota e coricata.

Si guardò attorno spaesata e solo dopo qualche istante riconobbe il proprio appartamento nel Condominio Buonanno.

Affondò una mano nei lunghi capelli più rossi del vino e cercò di dar loro una certa disciplina, seppur con scarsi risultati. Nella bocca un saporaccio pastoso.

«Accidenti a me, Morello…» masticò mettendosi a sedere. Afferrò la bottiglia di vino vuota e la agitò per il collo come fosse un gallinaccio, guardando il povero barboncino che la biasimava a distanza. «…lo vedi che succede a mischiare Broncoe Taurasi?»

Mattoni Gialli

Mattoni Gialli

Il blog di due sorelle, una scrive, l'altra disegna. Entrambe amano i libri e un morbido cane giallo :)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Scroll to Top
Scroll to Top