Nei nostri ricordi d’infanzia, il mese di maggio è legato con un filo sottile a questo piccolo coleottero: il maggiolino.
Sì, perché c’è un legame invisibile che collega la persona che siamo oggi a quella che siamo stati: il filo dei ricordi, di tutti quegli avvenimenti più o meno importanti, che sommati raccontano la nostra storia. Ce ne sono alcuni che sembrano insignificanti, ma che, chissà perché, restano vivi nella mente, insieme ai colori, ai profumi, alle immagini che portano con sé.
La nostra protagonista di maggio, Margherita, ci parla di sé attraverso un ricordo d’infanzia: un evento semplice, ma significativo della sua visione del mondo e della vita.
Dedichiamo questo racconto a una persona a noi molto cara, che abbiamo dovuto salutare in questo mese di maggio. A zio Antonino, che ha vissuto la sua vita sempre nella gentilezza e che era per noi una fonte inesauribile di storie e ricordi.
A zio Antonino
L’avventura del mese:
Margherita Di Maggio.
Insegnante d’arte (in pensione).
La fortuna non viene e la fortuna non va, semplicemente ti incontra. Così, per caso. Posto giusto, momento giusto e lei è lì, per un appuntamento che non vi siete dati.
Ti guarda, la guardi. Ma non la riconoscerai se non a distanza di tempo, perché la fortuna ha una forma perfetta che non si può prevedere né capire.
Perché la fortuna ti può solo capitare, non la puoi cercare.
“L’ho preso!”
“No!”
“Invece sì! E adesso è mio!”
“No, ho detto! Lascialo andare!”
“Ma che dici? Con tutta la fatica che ho fatto!”
“Non vedi che gli fai male?”
“Piantala, è solo uno scarafaggio che importa?”
“Non è uno scarafaggio!”
“Si tratta di poco-… ehi! E smettila!”
“Lascialo, Pietro! Sei cattivo!”
“E tu sei una femmina!”
“Non è un’offesa!”
Margherita ci ripensava, alla fortuna, mentre camminava per le strade della città. La mattina di mercato era sempre stata tra le sue preferite e ora che era in pensione se la godeva anche di più. Faceva il giro dei banchi, poi comprava frutta e verdura fresche e infine si fermava da Duccio, un piccolo antiquario, che tra le mille chincaglierie del suo banchetto le faceva spesso trovare qualche nuovo scarabeo per la sua collezione.
“E adesso lo faccio volare, così mi porterà fortuna e magari la bicicletta nuova.”
“Non ti porterà proprio un bel niente, invece!”
“Sfigata!”
“La fortuna non si trattiene o diventa sfortuna!”
“Sfigata e strambahia! Mi hai fatto male!”
“E ti faccio anche peggio se non lo lasci andare!”
“Tieni! Prenditelo! Lo dirò a tua madre e a don Ferruccio!”
“Vai a dirlo anche al papa!”
«Ah! Margherita mia, vieni qui, proprio te aspettavo! Vieni a vedere che cosa ti ho trovato. Me lo ha regalato un signore che aveva una fretta ladra di disfarsene; dice che gli ha sempre portato sfortuna.» Duccio ridacchiò, mentre arricciava la punta del baffo grigio e folto. «Ho subito pensato a te. Guarda che bello.»
Nel palmo, Duccio scoprì un piccolo scarabeo di metallo, grande quanto una falange. Il dorso e la testa erano laccati di verde con riflessi cangianti.
«Ma è una matronnola!» esclamò Margherita in un gran sorriso.
«Lo sapevo che avresti apprezzato. Tutto tuo.»
«E quanto ti devo?»
«Ma se nemmeno l’ho pagato? Questo è il tuo giorno fortunato.»
Così Margherita se ne tornò a casa, con la spesa e la verdura. Nel taschino della camicetta, una piccola matronnola laccata di verde; la sua gioventù.
“Poverino e come faccio a toglierti questo filo? Se ci provo, rischio di romperti una zampetta. Che cattiveria… solo perché pensano che gli porti fortuna. Ma non c’è più fortuna nel poterti vedere volare libero? La gente pensa solo a esser ricca e più che di fortuna, avrebbe bisogno di bontà. Mi spiace, matronnolina, ma il filo te lo devo lasciare.”
A casa, Margherita mise la matronnola laccata nella vetrinetta assieme a tutti gli altri ninnoli a forma di scarabeo che aveva incontrato sulla propria strada, anche senza cercarli. Semplicemente, le erano capitati davanti. Così, per caso, come tutte le cose importanti.
Poi se ne andò alla finestra e un profumo di pane appena fatto veniva dal forno di Otto, si mischiava a quello dei fiori ormai sbocciati che riempivano l’aria mite di maggio con i loro pollini bianchi.
Lei di ricchezza non ne aveva avuta chissà quanta, niente macchine o gioielli di lusso; si poteva pensare che la ‘fortuna’ a cui tutti puntavano non l’avesse incontrata. A lei però non era mai importato, perché la sua vita era bella così.
A conti fatti, non c’era fortuna migliore di quella.
Matronela, matronela mia, rimme la messa pe’ l’anima mia.